Today’s Special GET 15% OFF!

Ricordando Sinead O’Connor

Dalle stelle al fondo nero degli abissi, fino all’ultimo. Sinead se ne va così, nello sconcerto di un bisbiglio che rimbomba sordo. Lei, sola, una telefonata, i soccorsi, ma è tardi e la sera le ha già tolto il fiato. È il 26 di luglio di quest’anno e il mondo torna alla sua voce, a perdercisi dentro, forse stavolta con un filo di rispetto nudo in più, sono cadute d’un tratto le vesti sporche dei giudizi e il tempo è quello di tacere. Perché lo merita, perché non è mai stata solo un canale che scorre a caso sulla radio.

Ostica, graffiante, sperduta, irrimediabilmente tormentata… Bella come un sogno assurdo, disperatamente fuori e contro qualsiasi tipo di riga, intrisa oltre le ossa di una testardaggine capace di sciogliersi solo nell’oasi dolcissima di un’anima irragionevolmente pura, Sinead O’Connor resta e resterà per tutti come un piccolo solco sotto la pelle, molto e molto oltre il sipario di un giorno d’estate in cui è volata altrove, verso quel dio che ha sempre ricercato e voluto forte fino alla fine del baratro muto del suo deserto mentale.

Incomparabile, in assoluto. Spicca col suo buio pesto e le sue luci avvolgenti tra i più incredibili talenti che il rock abbia vissuto, e lo fa anche quando si nasconde negli angoli di lacrime di una depressione devastante. Se ne è andata firmando a sangue e l’ultima pagina di una vita forse mai completamente sua.

I sobborghi operai di Dublino, una madre fuori asse e una stanza per le torture

Nasce da lì quella voce che spaccherà tutto e sfonderà l’apice della notorietà fra i troppi interessi di altri che le spremevano l’anima. È una famiglia opaca la sua, una casa come tante, in cui vivono i figli e i genitori si separano. Lei ha 9 anni, è il 1975, suo padre si allontana, solo che la madre invece resta, tra alcolismo e una depressione violenta che sfoga sui figli riempiendoli di botte e devastandogli la psiche, chiusa con uno a turno in una stanza dedicata a convincerli tutti che “io non sono niente”. Tornerà a prenderli il padre, cercherà di proteggerli affidandoli alle suore in conventi sempre diversi perché lei scappa, si fa espellere, non ci sta. Lui ci ha provato, ma il danno è fatto e avrà conseguenze dure inarginabili.

Non poteva stare bene lei, non poteva essere possibile in quelle condizioni e un giorno arriva la diagnosi di bipolarità, un dramma orrendo di cui non fa mistero.

La sua carriera il volo lo prenderà lo stesso e nell’87: il primo 33 giri

La sua voce arriva dritta nelle vene e nessuno, né discografici né musicisti, avrebbe mai potuto rinunciare al successo che ogni fibra di Sinead è capace di regalare a tasche e fama di chi le gira intorno. Quella voce la porterà all’apice di un sistema che la userà fino a ucciderla dentro perché lei non si piegherà alla tregua con il perbenismo di un mondo arrotolato sulle sue parvenze manieristiche.

Mentre l’album d’esordio The Lion And The Cobra (1987), spiazza le classifiche e non ha paura di evocare riferimenti chiari al Salmo 91, il nome di quella ragazza con la testa rasata balza alla ribalta mondiale.

Nel ’90 arriva “Nothing compairs to you”. E questo potrebbe già bastare a dare un senso a un’intera vita. Il disco supera i sette milioni di copie vendute, in un tempo lontano da internet, in cui bisogna andare a comprarlo fisicamente il vinile. È un successo planetario ma a lei non basta. Ci sono i suoi valori in ballo, i suoi dubbi atroci, le sue angosce e lei darà loro tutta quanta la voce di cui hanno bisogno.

La foto di Papa Wojtyla in pezzi tra le sue mani e un grido forte netto come un tuono

La perfezione vibrante del suo viso porterà la sua musica a baciare le onde e i tumulti dei suoi dolori. Un’interiorità spalancata sugli abissi imperscrutabili della malattia consapevole, di quello stato dell’esistere mentale e psicofisico mai così disperato e al tempo stesso maledettamente attaccato alle colonne che le tengono viva l’essenza: la giustizia sociale, la missione di “liberare Dio dalle religioni”, l’amore quasi simbiotico per i suoi figli, forte fino a trasmettere loro anche le vibrazioni di morte che la attraversano, questa è la pelle sotto le tuniche di Sinead O’Connor. Lei, come in un girotondo spietato tra talento puro e un’istintività autodistruttiva folle, totalmente disconnessa dal reale. Ripercorrere le tappe del suo viaggio attraverso e forse pesino troppo dentro la vita, sfogliare gli anni di musica, i suoi album, i concerti, fino a quei pochi giorni fa in cui probabilmente per la prima volta il mondo si è autenticamente accorto di lei, sarebbe non solo lunghissimo, ma troppo sterilmente riduttivo. Un’esistenza indefinibile come la sua e una potenza così impressionantemente densa di passionalità assoluta, non possono essere riassunte in qualche data che non sapremmo comunque mai cosa abbia davvero significato per lei.

Restano i gesti forti, la coerenza più totale, la fedeltà devota ai suoi valori, quelli grandi, per una volta graffiati via dai bandieroni con gli slogan e dagli schermi più o meno arcobaleno sui posti di Instagram, e vissuti fino sul patibolo, a costo di farsi lapidare a sangue dalle polemiche di un bigottismo vestito di assoluzioni sommarie e di entusiasmi effimeri sotto i venti di pace della domenica mattina.

Quando a “Saturday Night Live” in piena diretta straccia contro le telecamere la foto di Papa Wojtyla tuonandogli “Combatti il vero nemico!” con la rabbia agguerrita di chi realmente vuol distruggere l’orrore della pedofilia, più bieca ancora perché mascherata dall’abito talare, la sua vita si spacca. La abbandonano tutti, tranne i suoi figli e la sua malattia.

La fine arriverà più tardi, ma sarà un lento agonizzare tra i suoi balzi di vita e gli inferi laceranti della sua malattia. Ci saranno altri pezzi, altre tappe, si farà ordinare suora di un ordine non riconosciuto dalla chiesa cattolica, chiederà scusa al Papa, passerà attraverso la conversione all’Islam, cambierà nome. E a un certo punto scriverà tutto in un libro, un memoir che è tutto da leggere. Con la cura che forse, però, davvero nessuno al mondo è stato capace di darle. È spesso, decisamente troppo spesso così con quelle gemme pure che a volte condividono passi incancellabili su questa nostra terra, ce ne accorgiamo solo dopo, di quanto era preziosa la loro immensità.

L’istinto vola quasi per mano a Billie Holiday, a Marilyn Monroe, ad Amy Whinehouse… Torna in mente la voce di Whitney Houston, la forza lucida di Joan Baez…

I colleghi hanno scritto dolcissimi messaggi, pensieri importanti, ultimi canti innamorati. Si parla di suicidio, ma non se ne parla. Probabilmente si saprà cosa sia davvero successo, ma è questo che conta? O forse è semplicemente prendere atto che la non conformità al normale, che sia fisica, psicologica, mentale o qualsiasi altra cosa, è normalità come ogni altra e magari ha solo bisogno di un abbraccio in più?

Dal libro di Sinead O’Connor si possono capire e percepire molte più sfumature, si può, soprattutto imparare a comprendere invece di escludere.

Intanto però, forse il modo migliore e più giusto di ricordarla è attraverso le parole di Annie Lennox, delicata ed elegante sempre, come lei, anche quando le restavano addosso solo i brandelli consunti dell’anima:

Sinéad…

You bared your soul…

Shared your brilliance

Through exquisite artistry

Your incredible voice…

Fierce and fragile

Lioness and lamb

Sweet singing bird

Keenly tuned

Trembling…

Tip-toeing along the high wire

Or stamping the ground

Raw

Wounded

Fearless

Impulsive

Bold and beautiful

Truth teller

Singer of songs

Crazy wisdom

Power house

Shaman

Priest and Priestess

Unafraid…

May the angels hold you

In their tender arms

And give you rest

In peace…

Jelka Giocoli Damiani

Share this :
Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su whatsapp
Condividi su pinterest
blog

Articoli correlati

Commenti

2 risposte

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *