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L’Amore (e il Rispetto) al Contrario

Sono innumerevoli i modi in cui gli esseri umani possono assurgere in un nulla agli allori del successo e talvolta, uno di questi riesce davvero a sorprendere. È il caso del vero e proprio ordigno che proviamo a recensire oggi, un manualetto di quasi mezzo kg di peso e poco più di 370 pagine che ha addosso i gradi da generale dell’Esercito e scoppia letteralmente nel bel mezzo dell’estate con una brutalità d’impatto tale da catalizzare i click d’acquisto di migliaia di lettori e polverizzare le classifiche.

Il Mondo al Contrario” è nel bene e nel male potente. Un grido, uno squarcio di voce che irrita o esalta. Ed entrambe, se inquadrate in un ambito di massa, possono essere reazioni viscerali tremendamente rischiose per gli equilibri già facilmente ondivaghi del pensare pubblico e dell’armonia del tessuto sociale.

Non è dunque tanto sullo specifico dei contenuti o sul curriculum vitae anche ridondante di Vannacci che vale la pena aggiungere acqua o fuoco. Più interessante ci sembra invece guardare tra gli spiragli d’aria che si aprono in mezzo all’inchiostro e cercare lì il senso sociologico del vero e proprio fenomeno dell’oggi che è questo “Il Mondo al Contrario”.

Partendo dall’inizio, perché non è da trascurare il dettaglio che precede il nome dell’autore: si tratta di un generale del nostro esercito, quello che rappresenta l’Italia intera, senza distinzione di età, di sesso, di opinione politica, di culto religioso etc. etc. Un generale, non uno qualsiasi, cosa che porta con sé una storia di romanzesca fascinazione da divisa, un presente in costante bilico tra autoritarietà e autorevolezza, e che se da un lato riporta romanticamente alla memoria il buon Bernacca con la sua bacchettina in mano, dall’altro invece, come ben si è visto, all’impatto con l’immaginario collettivo in pieno sole d’agosto, può facilmente indurre a fantasticherie sovreccitate.

Siamo in un’epoca storica delicata. Un libro così, che è un urlo di pancia senza freni diventa un ordigno terribilmente pericoloso e complicatissimo da disinnescare.

Il quadro è questo: due passi appena fuori dalla prima pandemia vissuta in diretta mondiale a suon di social e sperimentata nel quotidiano in pantofole delle riunioni Zoom, siamo in piena consacrazione di internet e dei suoi miracoli accessibili. Solo che accanto ci sono anche gli orrori, di santo internet. Ed è un primo bilico al quale può non esser facilissimo restare immuni se si hanno figli piccoli o si è, come in questo mondo capita, disperatamente soli. Al super intanto i prezzi salgono alle stelle e il portafoglio stenta ad arrivarci, peggio ancora se ti sposti in macchina. Allora il motto è far di tutto per acchiapparci l’attimo. Anche sopra i contrasti di un mondo che proprio non riesce ancora a capire quanto banalmente un essere umano sia, prima e sopra ogni cosa, un essere umano, mentre nemmeno i telegiornali stanno più dietro al numero di stupri e di uccisioni che spezzano il femminile al quotidiano. Il Papa tuona, ma intanto l’Ucraina muore e risorge insieme a Dio solo sa quanti soldati russi, ogni singolo istante che il cielo manda in terra. È questa la tela sfibrata e lisa di una società che ha del paradosso, ed è proprio al centro di questa trama che deflagra il libro di Vannacci.

Un fenomeno vero, tra chi non vede l’ora di leggerlo e chi lo brucerebbe senza neanche aprirlo, è praticamente impossibile trovare qualcuno che non ne abbia incrociato almeno una frase e che da quella non si sia fatto un giudizio preciso e deciso. Non ha spaccato, Vannacci, ha avuto l’effetto di un’atomica commerciale. Tanto da incuriosire addirittura il mondo della creatività pubblicitaria. Insomma la gente legge, o almeno compra i libri. Anche in un attimo. La condizione per averne certezza sembra essere, però, che facciano rumore. Tanto rumore.

E allora una domanda: esiste un bisogno latente di emozioni forti, una fame improvvisa di rabbie cruente, di sfondare i limiti, soprattutto se vietati? O è proprio la natura umana a richiamare la necessità di pathos esasperati ed emozioni che alla ragione non facciano a tempo a giungere prima di stordire?

Perché il dato di fatto è che questo di Vannacci è un libro uscito appena il 10 agosto di quest’anno. Notte dei desideri e di un san Lorenzo che per funzione, prima del martirio, aveva la responsabilità di provvedere ai bisognosi. Ironia della sorte, certo… Insomma, combinazioni a parte, in venti giorni questo ha spazzato via argomenti e interessi collettivi in un battibaleno e dominato di lì in poi le conversazioni dagli ombrelloni agli scranni lucentissimi del governo. C’è da riflettere. Non solo e soltanto sui contenuti, ma sul fenomeno.

Senza entrare a gamba tesa nel merito (perché se nel merito si decide di entrare, di fronte a uno scritto di questa portata, solo a gamba tesa si può entrare) vale forse la pena di chiudere il cerchio degli spunti a margine con una osservazione. Vediamola, allora. Perché solo ad annusarlo questo “mondo al contrario” trapela già nella perfezione e forse persino in barba alla consapevolezza del generale, la reale istigazione all’odio violento in cui – volente o nolente – confluisce il coacervo di affermazioni che fanno la sostanza del libro. Vannacci stesso, infatti, precisa chiaro che “si dissocia da qualsiasi tipo di atti illeciti possano da esse (le sue parole n.d.r.) derivare”. Quasi un mettere le mani avanti. O, a voler pensare un po’ meno ingenuamente, invece, quasi a sottolineare come le sue righe siano proprio e in tutto il loro corpo una ferma e determinata chiamata all’azione. Proviamo a riflettere sull’aggettivo che Vannacci sceglie nella sua presa di distanza, illecito: una buona, e parecchio scaltra nota asettica per qualificare qualcosa di cui, pur da difensore dei valori costituzionali d’uno Stato che ha mandato di proteggere, si sceglie di limitarsi a prendere atto.

Forse il libro di Vannacci sparirà in cassetti dimenticati o finirà al macero insieme alla carriera del suo autore, ma intanto non sembra responsabilmente schivabile una anche minima riflessione sulla portata che i riverberi di un testo come questo possono avere nel contesto sociale del momento storico che con lui condividiamo.

Jelka Giocoli Damiani

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